IL TRIBUNALE

    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza,   nel  procedimento
disciplinare  n. 1223/01 R.G. Trib. nei confronti del notaio Maurizio
Ferrara; rilevato che formano oggetto di incolpazione contravvenzioni
punibili  con  l'ammenda ai sensi dell'art. 137 L.N., per le quali il
suddetto notaio, avvalendosi della facolta' concessagli dall'art. 151
comma  2  L.N.,  ha  effettuato  il  pagamento a norma di legge, come
risulta  da  ricevuta  allegata  agli  atti; considerato pertanto che
dovrebbe  essere  pronunciata  sentenza  di non doversi procedere per
intervenuta  oblazione;  ritiene  il  tribunale  di  dover  sollevare
d'ufficio  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 137 e
151  legge  16  febbario  1913  n. 89,  il  primo  nella parte in cui
prevede, a titolo di sanzione disciplinare, al primo comma, l'ammenda
da  lire  40 a lire 400, ed al secondo comma, l'ammenda da lire 400 a
lire  3.200,  il  secondo  nella  parte  in  cui richiama le predette
sanzioni, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione;
    Premesso in fatto che il notaio ha violato le disposizioni di cui
agli artt. 53 legge 16 febbario 1913 n. 89 e 91 e 261 Reg. Not. e che
ha  effettuato  il  pagamento previsto per l'oblazione ai sensi degli
artt. 137 e 151 stessa legge;
        che,   secondo   le  previsioni  sanzionatorie  di  cui  agli
artt. 137  e  151  legge 16 febbraio 1913 n. 89 il quarto del massimo
dovuto  per  la estinzione del procedimento disciplinare ammonta alla
somma di lire 100 e di lire 800;
    Osservato quanto alla rilevanza della questione:
        che   alla  stregua  della  normativa  vigente  il  tribunale
dovrebbe   pronunciare   sentenza   di   non  doversi  procedere  per
intervenuta oblazione;
    Considerato  che  con  ordinanza  n. 44 del 1995 in data la Corte
costituzionale  ha  dichiarato  manifestamente inammissibile identica
questione sollevata dal Tribunale di Pordenone;
        che   la   Corte  ha  pero'  rilevato  che  "tale  situazione
rappresenta uno dei diversi aspetti della predetta legge notarile del
1913  per i quali e' mancato un diligente adeguamento a quanto emerso
nel  lungo  tempo  decorso,  ma che ora e' preso in considerazione da
progetti di revisione in corso di elaborazione";
        che  a  distanza  di  sette  anni nessun adeguamento e' stato
introdotto  e che l'unico progetto che risulta pendente in Parlamento
e'  il n. 914 presentato alla Camera dei deputati il 20 giugno 2001 e
assegnato alla commissione giustizia in sede referente il 12 novembre
2001,  del quale non ancora iniziato l'esame e che non prevede alcuna
innovazione in tema di sanzioni pecuniarie;
        che  l'inerzia  del legislatore legittima un intervento della
Corte,  come gia' accaduto per altre questioni, ad esempio in tema di
sciopero  degli  avvocati,  quando  la Corte, con sentenza n. 171 del
1996 dichiaro' parzialmente illegittimo l'art. 2 commi 1 e 5 legge 12
giugno  1990  n. 146,  in quanto l'invito al legislatore a colmare le
lacune  denunciate  con  sentenza  n. 114  del  1994 si era "rivelato
inadeguato,  essendo  trascorsi invano due anni senza che l'auspicato
intervento normativo si sia realizzato";
    Ritenuto,  quanto  alla fondatezza della questione: che l'importo
delle    ammende    comminate   per   le   suddette   violazioni,   e
conseguentemente le somme dovute a titolo di oblazione sono del tutto
irrisorie   e   totalmente   insignificanti  e  quindi  assolutamente
sproporzionate rispetto alle sanzioni previste per le violazioni piu'
gravi   dalla   stessa   legge   notarile,  che  vanno  dal  semplice
avvertimento  fino  alla  destituzione,  e  quindi  non  rispettano i
criteri   generali  di  ragionevole  proporzionalita'  e  adeguatezza
indicati  dalla  giurisprudenza  della Corte costituzionale (sentenze
nn. 25 e 341 del 1994; 297 del 1993; 409 del 1989):
        che   pertanto   si   configura  una  violazione  dell'art. 3
Costituzione rispetto agli altri illeciti disciplinari previsti nella
medesima  legge,  che pur essendo giustamente sanzionati in modo piu'
severo   in   relazione   alla   loro   gravita',  perdono  qualsiasi
proporzionalita'  rispetto  alle  ammende,  alterando  la  logicita',
coerenza e ragionevolezza dell'intero sistema sanzionatorio istituito
dalla  citata  legge  notarile  n. 89 del 1913, che invece esistevano
all'epoca di entrata in vigore della legge;
        che  si  realizza inoltre una disparita' di trattamento con i
provvedimenti   disciplinari   stabiliti   per   altre  categorie  di
professionisti;
        che   si  verifica  altresi'  violazione  dell'art. 97  della
Costituzione,   in  quanto  solo  un  coerente  ed  efficace  sistema
sanzionatorio  sarebbe  idoneo a garantire, in funzione inibitoria di
prevenzione  generale,  un  corretto  ed efficiente svolgimento della
importante funzione pubblica certificativa attribuita al notariato;
        che  la  normativa  vigente appare in contrasto con l'art. 97
Costituzione  anche in relazione al diverso profilo attinente al buon
funzionamento  degli  uffici chiamati ad intervenire nel procedimento
disciplinare  -  Procura  della  Repubblica  e  relativa  segreteria,
tribunale  e  relativa  cancelleria, tesorerie dei Consigli notarili,
per  limitarsi  al  solo  giudizio  di  primo grado - ed ai costi del
medesimo  procedimento,  sia  in  termini meramente economici sia con
riferimento  alla  forza-lavoro  impiegata,  anch'essi  assolutamente
sproporzionati  rispetto  al risultato perseguito e cioe', in caso di
accertamento  dell'illecito  disciplinare,  l'irrogazione di sanzioni
pecuniarie di cui si ribadisce l'insignificanza;
    Evidenziato in ordine alle possibilita' di intervento della Corte
senza  sostituire  la  propria  valutazione  a  quella spettante alla
discrezionalita' del legislatore;
        che  la  Corte  potrebbe intervenire applicando alle sanzioni
pecuniarie  previste  dalla  legge notarile gli aumenti stabiliti dal
legislatore  per  le  pene  pecuniarie  originariamente comminate dal
Codice Penale vigente, innalzate di quaranta volte con l'art. 3 legge
12 luglio 1961 n. 603 e quintuplicare dall'art. 113 legge 24 novembre
1981 n. 689;
        che  tale  equiparazione  appare  giustificata  ove  si tenga
presente  l'identita' di ratio sottostante all'aumento delle sanzioni
pecuniarie,  e  cioe'  quella  di  adeguare  l'efficacia preventiva e
punitiva  delle  stesse  al  mutato  valore  del  denaro  (e comunque
siffatta   equiparazione  sarebbe  ancora  non  del  tutto  adeguata,
incidendo  su  sanzioni  risalenti  al 1913, mentre gli aumenti delle
sanzioni penali riguardano multe e ammende introdotte nel 1930);
        che  l'aumento  di  200  volte  porterebbe  le ammende di cui
all'art. 137 legge n. 89/1913 a limiti edittali accettabili, cioe' da
lire  8.000  (ora  4 euro) a lire 80.000 (ora 41 euro) per le ipotesi
del  primo  comma  e da lire 80.000 (ora 41 euro) a lire 640.000 (ora
330 euro) per le violazioni di cui al secondo comma;
        che,  in  subordine, la Corte potrebbe limitarsi a dichiarare
la  illegittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 689 del
1981  nella  parte in cui prevede che la rivalutazione delle sanzioni
amministrative  pecuniarie  prevista  dall'art. 10 della stessa legge
non si applica alle violazioni disciplinari;